Norma Rangeri/ Il Manifesto

Che la brutta gioventù del Grande Fratello sia il volto prevalente dell'Italia del futuro; lasciamolo dire ai teorici del reality show, forti dell'occupazione di ogni angolo del palinsesto con bisturi e spiagge tropicali. Impossibile vedere altre persone affacciarsi al piccolo schermo. Ogni tanto capita l'eccezione che conferma la regola. Merito di Volti, documentario di Daniele Segre, è innanzitutto aver messo davanti a una telecamera ragazzi e ragazze di una dimensione ormai sconosciuta ai telespettatori. Solo volti, ripresi in primo piano, che parlano della loro scelta di frequentare la scuola di teatro dello Stabile di Torino, della vita quotidiana, della politica. Il viaggio nel futuro dell'Italia si divide in sei puntate (tutti i mercoledì intorno alla mezzanotte, Raitre). Dopo la scuola di teatro di Torino, ci saranno gli studenti della Nazionale di Cinema, un incontro a Bellaria con i figli degli albergatori, due puntate dedicate al no-profit e una riassuntiva alla fine del ciclo.
Rigorosamente in bianco e nero le immagini sfocate all'interno della scuola, a colori invece le testimonianze, nessuna presenza in video dell'intervistatore di cui si intuiscono le domande ai ragazzi che parlano un po' di tutto: famiglia, infanzia, disagi, fatiche, scelte. Molti ideali ma scarsa sintonia con questa politica, questi partiti, questi leader. «Io non sono di destra né di sinistra,per me esistono gli ideali, la politica è un fatto commerciale, come vendere il proprio prodotto». Oppure «mi sento italiana se penso a tante forme di opposizione che mi somigliano».
Nelle note di stampa Segre sottolinea «la voglia di coniugare il desiderio interiore con la possibilità di farlo diventare una professione». Merce rara in una tv che dà la caccia ai professionisti del nulla. Volti ci restituisce una televisione povera di orpelli, con una splendida fotografia, un'estetica rigorosa che risarcisce il piccolo schermo di tante umiliazioni.